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COP 20 a Lima, tante chiacchiere e pochi fatti

Ultimo aggiornamento: 08-01-2015

Aspettando Parigi 2015, le Nazioni del Mondo continuano a spendere soldi su soldi per organizzare summit da cui non si cava un ragno dal buco. O, sarebbe meglio dire, in cui ancora stanno a discutere se il ragno nel buco ci sia o meno.

A metà dicembre si è infatti tenuta la ventesima Conferenza sul Clima delle Nazioni Uniti (COP 20) a Lima, e ne è uscita una road map detta “di avvicinamento” alla Conferenza di Parigi, che richiederà decisioni definitive sul tema del riscaldamento globale.

I risultati raggiunti sono considerati assolutamente eccessivi da chi continua a negare il problema e a rimandare qualsiasi decisione, ma sono considerate insufficienti da chi invece ha ben chiara la difficile situazione del Pianeta.

Le 196 nazioni presenti e i ben 11 mila delegati hanno redatto un documento che se da una parte mostra la possibilità di una seppur quasi invisibile inversione di marcia, dall’altra parte mostra l’unica cosa davvero evidente, ovvero l’assenza di un accordo non tanto sulle azioni da compiere, ma sull’esistenza stessa del problema!

Andiamo però a dare un’occhiata a quali sono i principi emersi dalla discussione.

i costi dei cambiamenti climatici

Innanzitutto c’è il principio di responsabilità condivisa, ovvero che ogni nazione deve impegnarsi a ridurre il cambiamento climatico in base alle proprie capacità economiche e strutturali. Il principio, infatti, è che chi oggi è ricco, si è arricchito anche inquinando di più. C’è il Lost e Damage, che porta i paesi in via di sviluppo, vittime certe delle prossime calamità naturali, ad avere delle compensazioni economiche. Ci sono quindi danni non evitabili:  oltre il principio della mitigazione c’è ormai anche quello dell’adattamento climatico.

Tutto questo però è ancora lontano dal poter portare le Nazioni del Mondo ad una discesa delle emissioni del 70% entro il 2050, che sarebbe l’unico modo per evitare il surriscaldamento fino a quasi 5 gradi per la fine del secolo, e tutte le disgrazie ad esso collegate.

Queste azioni vanno concretizzate, devono diventare vincolanti, perché se le si lascia al buon cuore di chi governa il risultato è stato già visto: un ulteriore aumento delle emissioni del gas serra del 2%.

Gli Stati hanno quindi 6 mesi per presentare piani generali che tutti insieme dovrebbero liberarci entro il 2050 dei combustibili fossili.

E l’Italia, che ruolo sta giocando in questa situazione? Quali sono le sue effettive potenzialità?

Secondo il Governo, la nostra nazione ha svolto un ruolo di primo piano per far sì che l’accordo venisse concluso, mentre secondo Legambiente l’Italia si è opposta all’adozione di una road map più dettagliata:  questo comportamento è purtroppo in linea con quello tenuto in Europa e con le poche iniziative a livello nazionale.

“Tecnologie energetiche pulite, fotovoltaico, fonti rinnovabili: queste le leve per uno sviluppo sostenibile e consapevole. Il giornalismo ambientale e le nuove tecnologie sono ottimi strumenti di condivisione per tracciare nuove strade”

Alessandro Fuda

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