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Le contraddizioni della politica petrolifera italiana

Ultimo aggiornamento: 17-07-2014

A breve in Italia 14 raffinerie di petrolio in meno: grazie alle fonti rinnovabili ed alla generale contrazione del mercato alcune raffinerie risultano superflue. Si possono dunque smantellare, ma chi paga i costi di smantellamento?

In Italia il numero delle raffinerie di petrolio potrebbe calare di 14 unità nell’arco di poco tempo, perchè il numero di impianti è eccessivamente superiore rispetto alla domanda del mercato.

Questa frase non è un’aspettativa di qualche ambientalista dell’ultima ora, ma la presa d’atto dell’Unione Petrolifera, che ha evidenziato come la contrazione del mercato renda superflua parte dell’industria della raffineria in Italia. Dello stesso parere la compagnia energetica Eni, che ha affermato di voler chiudere quattro dei propri impianti nazionali.

La contrazione del mercato è generata da due aspetti: innanzitutto la riduzione della domanda di combustibili causata dalla congiuntura economica, con meno richieste da parte dei singoli consumatori e delle imprese; in secondo luogo l’aumento delle attività di raffinazione nei paesi di estrazione, che hanno nel tempo progredito e migliorato le proprie capacita tecniche in tal senso.

La chiusura delle raffinerie italiane non sarebbe però a impatto zero per la nazione: si è ipotizzata infatti la richiesta di aiuti di stato per la riconversione delle stesse e per la ricollocazione dei lavoratori. Fatto salvo quest’ultimo aspetto, è lecito chiedersi perchè lo stato dovrebbe provvedere ad aiutare degli impianti industriali che fino ad oggi hanno avuto un notevole impatto soprattutto ambientale, con profitti notevoli che non hanno di certo giovato alla collettività.

estrazione petrolio

Oltre alla riflessione sull’ipotesi di aiuti di stato, un altro punto che andrebbe affrontato riguarda il futuro del nostro paese come hub per le fonti non rinnovabili. Data la crisi del ruolo per quanto riguarda il petrolio, è automatico chiedersi perchè l’Italia dovrebbe continuare gli investimenti per diventare punto di riferimento per il gas europeo, in quanto anche questo potrebbe nei prossimi anni conoscere la stessa crisi che il petrolio sta anticipando.

Tuttavia sembra difficile immaginare che le istanze appena espresse, che sono dettate dalla logica, più che dall’ambientalismo, possano trovare risposta nelle politiche governative, che appena nei giorni scorsi si sono espresse per mezzo del premier Matteo Renzi a favore di nuove trivellazioni., che secondo i dati ufficiali dovrebbero portare a 40 mila nuovi posti di lavoro, che sembrano però difficilmente raggiungibili, vista la scarsità delle risorse non rinnovabili rimaste nel paese.

Altra questione da considerare è anche quella relativa alla percentuale di zolfo presente nei combustibili marini, che stando a quanto richiesto dalle lobby nostrane, dovrebbe di gran lunga superare i quantitativi presenti negli analoghi combustibili autorizzati per chi opera nel mar Baltico e nel Mare del Nord, mari certamente meno problematici rispetto a quelli che bagnano le nostre coste.

I nostri quesiti rimangono in attesa di risposte.

“Tecnologie energetiche pulite, fotovoltaico, fonti rinnovabili: queste le leve per uno sviluppo sostenibile e consapevole. Il giornalismo ambientale e le nuove tecnologie sono ottimi strumenti di condivisione per tracciare nuove strade”

Alessandro Fuda

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